Il significato simbolico del cibo: ciò che mangi rivela le tue emozioni
Quando mangiamo, qualunque cosa mettiamo nel piatto, non introduciamo nel nostro corpo solo nutrienti, proteine, carboidrati, minerali o la qualità energetica dell’alimento; dentro il nostro cibo c’è molto di più: significati simbolici, emozioni e relazioni che viaggiano nascoste al nostro livello di coscienza.
Il nutrimento è indubbiamente uno dei primi linguaggi non verbali con cui ognuno di noi si confronta sin dalla nascita ; è una necessità fondamentale; ad esempio il latte materno (che idealmente gratifica, appaga, porta piacere e rilassamento nel corpo) soddisfa i bisogni di sopravvivenza del corpo e contemporaneamente ci consente di entrare in relazione con le emozioni trasmesse dalla madre: affetto, comprensione, sicurezza, considerazione (in altri termini: amore) oppure con ansia, nervosismo, riprovazione, stanchezza .
Quello che mangiamo ci ricorda e riporta alla prima relazione affettiva importante e ci rimanda, simbolicamente, alla qualità di quell’amore; ecco perché si può sicuramente dire che, in qualche modo e simbolicamente, attraverso il cibo possiamo passare energia d’amore: il modo in cui viene pensato, il tipo di ingredienti utilizzati, l’attenzione e il tempo nel cucinare, l’intenzione presente nel momento in cui lo si mette nel piatto fanno la differenza e diventano, essi stessi, qualità, “sapore” e nutrimento che si aggiunge ai nutrienti “tradizionalmente” intesi. Il cibo è, anche, famiglia, ritualità, emozioni condivise e situazioni, cultura.
Il primo pasto della nostra vita, e poi tutti gli altri, quindi, ci mettono quindi sempre in relazione con qualcosa, che grazie alla digestione diventerà parte di noi (quello che mangiamo, la sua storia e il suo stato di coscienza prima di arrivare nel nostro piatto nonché le sue valenze simboliche), con qualcuno (chi ci ha preparato quella portata e, indirettamente, con la nostre prime fonti relazionali primarie, i genitori; naturalmente, ci potrebbero essere – crescendo – anche altri riferimenti relazionali importanti) e con un contenuto di nutrimento-amore.
Così spesso aumentiamo la quantità di cibo giornaliera quando abbiamo bisogno di conforto: è un po’ come darsi più forza, cercare all’esterno (e in modo non adeguato) la dose mancante di amore e altre forme di nutrimento dell’anima e dello spirito.
Seppure inconsapevolmente, scegliamo cosa mangiare in modo compensatorio non solo seguendo la soddisfazione del palato ma a seconda del significato simbolico del singolo alimento e del conseguente inconsapevole piacere che ci offre:
- i cibi morbidi, riportano in una dimensione di integrazione affettiva; quelli duri, croccanti portano un’informazione di grinta, resilienza;
- gli alimenti dolci compensano un bisogno di regressione, di dipendenza e accudimento, sono consolatori; quelli salati rinforzano un comportamento maturo, indipendente, volitivo;
- la scelta su piatti semplici rivela un bisogno di chiarezza, linearità; pietanze elaboratepossono indicare un bisogno di integrazione di aspetti diversi, complessi;
- i prodotti di origine animale portano con sé un elemento di forza e aggressività; quelli vegetali aprono maggiormente ad una dimensione relazionale armonica, possono indicare bisogno di leggerezza;
- latte e latticini ci parlano della madre e, più in generale, del “maternage”;
- i cereali, in modo particolare il frumento, parlano invece del “padre”;
- i tuberi rappresentano il nostro nucleo originario, le forze depositate nella terra, le nostre radici;
- i germogli rappresentano l’esplosione della nuova energia, il nuovo che deve ancora prendere forma.
Non è tutto: il modo in cui il cibo ci è stato somministrato da piccoli e la qualità delle emozioni sottostanti fanno la differenza.
Se, ad esempio, ci è stato dato – regolarmente – quando eravamo stanchi, nervosi, per distrarci dai capricci, come “ciuccio”, come rimedio, come premio per un certo nostro comportamento, per tenerci occupati in qualcosa o per altre ragioni che non avevano nulla a che fare con la nostra fame fisiologica (ma piuttosto con altri bisogni, fisici o relazionali, espressivi), crescendo tenderemo, spontaneamente, ad aprire il frigorifero o la dispensa per trovare una risposta compensatoria al disagio emotivo del momento: tireremo fuori così degli “anestetici” che non facciano sentire le fatiche; dei sostituti di affetto e sicurezza o coccole; qualcosa che colmi bisogni non chiaramente individuati ma insoddisfatti. Cercheremo di riempire un vuoto, ottundere un sentimento di noia, non pensare alla solitudine.
Cibo che si sostituisce all’amore, perché l’amore è l’unico nutrimento davvero fondamentale, che fa la differenza nella qualità della vita: averne consapevolezza è il primo passo. Il secondo è osservare come mangiamo e perché, cosa c’è realmente “sotto” (appetito o altro?) e poi, con gentilezza e rispetto verso di sé e quello che al momento c’è, prendersene cura: cominciando a fornire quei nutrimenti (diversi) che mente, corpo, emozioni e spirito richiedono.